La Grande Guerra
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La Grande Guerra
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Brigata Sassari
 
Verso la Grande Guerra 

Sin da primo decennio del Novecento sul continente europeo si erano accumulate gravissime tensioni. Le cause di queste tensioni sono da ricercare  nell’espansione industriale della Germania che accresceva le mire imperialistiche di Guglielmo II  e anche nella rivalità economica e militare con Inghilterra, con la quale aveva intrapreso una pericolosa corsa agli armamenti. La sconfitta subita dalla Russia in estremo oriente aveva fatto sì che questa rivolgesse le proprie attenzioni per un’espansione territoriale, sempre latente in potenze di quella dimensione, verso l’Europa orientale con particolare attenzione ai Balcani, scontrandosi in questo modo con la politica espansionistica dell’Austria. Quest’ultima doveva anche gestire le richieste che l’Italia reiterava per la questione delle terre irredente e, nonostante la Triplice Alleanza, le comuni e contigue aspirazioni di entrambe sull’assetto politico della penisola balcanica.

La Francia e l’Inghilterra, nello specifico, volevano invece limitare e bloccare l`espansionismo tedesco e la sua crescente egemonia industriale e scientifica. La Francia puntava anche alla rivincita dopo i fatti d`arme del 1870 e voleva riprendersi l`Alsazia e la Lorena. L`Austria e la Russia speravano di risolvere le loro difficoltà con una politica estera aggressiva ed espansionistica. Nel 1914 ormai la guerra sembrava inevitabile.

Il pretesto di Sarajevo

La scintilla che diede il via alla guerra scoccò il 28 giugno 1914 a Sarajevo, la capitale bosniaca. Un attentato, di matrice estremistica, comportò la perdita della vita per il granduca Francesco Ferdinando, erede al trono d`Austria, e la consorte. L`Austria non si fece sfuggire l’occasione e decise unilateralmente di considerare la Serbia responsabile dell`attentato dando rilievo al fatto che essa dava rifugio agli indipendentisti slavi. Si voleva dare un esempio di fermezza a tutti i popoli dell`impero e di porre termine ai numerosi moti rivoluzionari e sovversivi della penisola balcanica. Lo Stato Maggiore  Austriaco prevedeva una rapida e semplice campagna militare priva di ostacoli importanti mentre la Germania sognava la formazione di un grande stato formato da tutte le nazioni di lingua tedesca. L`impero Russo che ambiva invece a riunire sotto la sua egida i popoli di lingua slava, decise di aiutare la Serbia mobilitando il proprio esercito. Con la dichiarazione di guerra alla Serbia  l`Austria mise in moto l`automatismo delle alleanze e delle relative mobilitazioni: nel giro di alcuni giorni si assistette ad uno scambio vorticoso di dichiarazioni di guerra. A fianco di Germania e Austria si schierarono Turchia e Bulgaria, a fianco della Triplice Intesa il Giappone e la Romania. Per la pace si dichiararono socialisti e cattolici, ma non ottennero un seguito degno di nota, non fu presa in considerazione neanche la durissima condanna pronunciata dal papa Benedetto XV, che considerò la guerra come il risultato dell`egoismo, del materialismo e della mancanza di grandi valori morali e spirituali.

Soltanto l`Italia di Giolitti mantenne la calma: questi forte della considerazione “difensivistica” della Triplice Alleanza, ritenuta un patto difensivo come già in anni precedenti ribadito, sostenne che l’Italia non aveva alcun obbligo di schierarsi al loro fianco  poiché Austria e Germania non erano state aggredite, ma avevano dichiarato guerra per prime.

 Le strategie per l’invasione

Le tensioni in politica estera avevano indotto gli stati maggiori di Francia e Germania a preparare i piani e la logistica per una guerra che si riteneva sempre più prossima. La Francia da parte sua aveva fortificato il confine con la Germania, quest`ultima invece aveva pronti i piani per un attacco fulmineo che portasse le sue truppe a Parigi nel minor tempo possibile (tragica strategia utilizzata anche nella seconda guerra mondiale), così come era successo nel 1870.

Le forze russe si mobilitarono invece più lentamente per l’esigua disponibilità di mezzi di trasporto e l`insufficiente numero di strade e ferrovie. Così la Germania concentrò tutte le sue forze contro la Francia, ritenendo di sconfiggerla rapidamente e poi dedicarsi con tranquillità alla Russia sul fronte orientale. Per poter effettuare questo piano di “guerra lampo la Germania doveva evitare le potenti fortificazioni francesi costruite sul confine: perciò l`esercito tedesco invase il Belgio, che era neutrale, con l’intento di assalire le truppe francesi alle spalle. I tedeschi, dopo un mese di aspri combattimenti, giunsero a soli quaranta chilometri da Parigi, ma furono bloccati e respinti al termine di una durissima battaglia avvenuta sul fiume Marna. La sperata guerra lampo si trasforma in una non prevista guerra di posizione che metterà a dura prova anche il potente esercito germanico per ciò che concerne il vettovagliamento, il munizionamento, la rotazione degli armamenti e la disponibilità di rincalzi e non ultimo lo sforzo finanziario. Saranno in seguito da ricercare in tutti questi aspetti le motivazioni del risultato del conflitto.  Nella logica di una mentalità strategica ottocentesca, che si estrinsecava in battaglie di movimento con una enorme partecipazione di risorse umane, succede che scavando delle trincee e attendendo l`assalto del nemico il difensore è fortemente avvantaggiato sull`attaccante. Gli assalti, infatti, sono ancora effettuati dal fante armato di fucile che si scaglia contro le mitragliatrici nemiche sistemate sui bordi della trincea o dietro un riparo. Dopo la battaglia della Marna le truppe tedesche e franco-britanniche si fronteggiarono lungo una linea che andava dalla Manica alla Svizzera. La guerra di movimento si trasformò così in guerra di posizione. I soldati furono costretti a vivere dentro trincee lunghe centinaia di chilometri, nella sporcizia e sotto le intemperie, su un fronte praticamente fermo.

Nel frattempo a oriente  le vittorie ottenute presso i laghi Masuri e Tannenberg  consentirono all`esercito tedesco di occupare la Polonia. Mentre più a sud il fronte austro-russo si estendeva per centinaia di chilometri, senza alcun avanzamento da parte dei contendenti. Gli stati europei si gettarono nell`avventura della guerra sottovalutandone completamente i costi economici ed umani. Essi affrontarono con leggerezza la guerra poiché la ritenevano di breve durata come quelle che si erano combattute nell`800. Confidavano che la potenza dei nuovi tipi di armi avrebbe accelerato i tempi della vittoria. Altro errore di prospettiva fu quello di pensare che la supremazia in Europa avrebbe avuto come conseguenza il dominio sul mondo, ma questo calcolo non teneva conto della nascita di due nuove superpotenze: gli USA e il Giappone, che usciranno rafforzate dal conflitto, mentre tutta l`Europa si  indebolì sia per le perdite umane che per i costi economici. Si immaginava, infine, che questa guerra potesse essere come le precedenti, con vittime, costi e conseguenze gravi, ma in qualche modo limitate e prevedibili: con dei vincitori che avrebbero acquistato nuovi territori e maggiori mercati e con degli sconfitti che li avrebbero perduti.

L’Italia si divide tra interventisti e neutralisti

La maggioranza degli Italiani si schierò per non entrare in guerra a fianco degli Austriaci che occupavano ancora i territori di Trento e Trieste. Predominante era in Italia il partito dei neutralisti, ma la minoranza interventista era comunque dell`avviso di cambiare alleanza e di schierarsi contro l`Austria. I cattolici e buona parte dei socialisti erano contro la guerra. I socialisti vedevano il conflitto sotto un nuovo punto di vista  “le guerre erano un affare tra capitalisti che lottavano per il predominio imperialista, mentre i proletari di tutto il mondo dovevano sentirsi fratelli”. Giolitti era sicuro che gran parte del territorio italiano ancora occupato dall`Austria ("parecchio", come lui stesso affermò) poteva essere ottenuto mediante trattative diplomatiche, e ,anche se poco tempo prima aveva lasciato la presidenza del consiglio, si era impegnato per conservare la neutralità italiana, in base alla lettura autentica della Triplice Alleanza.

In Italia le forze, sia interne che esterne, per l’entrata in guerra erano molto forti. La grande industria vedeva nella guerra l`occasione per un’espansione economica grazie alle forniture per l`esercito. I maggiori quotidiani italiani peroravano le tesi dei nazionalisti e attaccavano violentemente i neutralisti, arrivando a definire traditore Giolitti, che venne anche aggredito e fatto oggetto di manifestazioni di piazza davanti alla sua abitazione. Si svolgevano molte manifestazioni a favore della guerra e molti interventisti, tra cui Gabriele D`Annunzio, vi pronunciavano infuocati discorsi patriottici. Anche dall`estero le spinte non mancavano: l`Italia importava il 90% del suo carbone dall`Inghilterra e dipendeva da Inghilterra e Francia anche per altre importanti materie prime: questo era un formidabile strumento di pressione nelle mani dell`Intesa. Nel mese di aprile 1915 il governo italiano firmò a Londra un patto segreto nel quale l`Italia s`impegnava ad entrare in guerra con Francia e Inghilterra entro un mese. In cambio, in caso di vittoria avrebbe ottenuto il Trentino e l’Alto Adige fino al Brennero, Trieste, Gorizia, Gradisca, parte dell’Istria e della Dalmazia, e diritti sull’Albania. La monarchia era decisamente favorevole alla guerra. Il Parlamento, ancora contrario, fu nella realtà  obbligato ad approvare, quasi ratificare il patto di Londra, sul quale in un primo tempo, anche Giolitti fu tenuto all’oscuro: l`Italia dichiarò guerra all`Austria-Ungheria  la sera del 23 maggio 1915 e alle ore 4 del 24 maggio 1915 dal  Forte Verena, sull`Altopiano di Asiago, partì il primo colpo di cannone verso le fortezze austriache situate sulla Piana di Vezzena. Quindici mesi più tardi l`Italia dichiarerà guerra anche alla Germania.

Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi Cadorna. Il nuovo fronte aperto dall`Italia ebbe come teatro l`arco alpino dallo Stelvio al mare Adriatico e lo sforzo principale tendente allo sfondamento del fronte fu attuato nella regione delle valli dell’Isonzo, in direzione di Lubiana. Dopo un`iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l`ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di trincea simile a quella che si stava già svolgendo sul fronte occidentale: l`unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi, fino e oltre i 3.000 metri di altitudine.

Il fronte italiano

Dal lago di Garda a Gorizia, per seicento chilometri il fronte italiano costituiva una linea che congiungeva lo Stelvio, cuspide del confine con la neutrale Svizzera, con Monfalcone, attraversando l`altopiano di Asiago, i monti del Cadore e della Carnia fino all`altopiano della Bainsizza e ai monti Sabotino e San Michele. Anche se non mancavano i volontari la grandissima maggioranza dei militari fu costituita dai richiamati provenienti da tutto il territorio nazionale. Alcune brigate divennero celebri come la Brigata Sassari, la Trapani, Cosenza, Catanzaro e altre ancora.  Poco dopo l`inizio delle ostilità, a nord sul fronte alpino fu occupata Cortina d`Ampezzo, il Monte Altissimo, il Coni Zugna e il Pasubio, mentre il caposaldo del Col di Lana fu attaccato senza risultato. A est fu raggiunta Monfalcone, Plava e a metà giugno fu conquistato il Monte Nero. Subito dopo iniziò la lunga serie di battaglie che presero il nome dal fiume Isonzo perché combattute in gran parte sulle sue rive o nelle zone circostanti.

La Strafexpedition

Una importante offensiva austriaca  lanciata  dal saliente del Trentino e il proseguimento delle operazioni sull`Isonzofurono tra gli aspetti più importanti del secondo anno di guerra. Conrad, capo di stato maggiore austro-ungarico, aveva preparato un piano che prevedeva di partire dalle forti posizioni a sud di Trento e di arrivare sino alla pianura padana tra Verona e Vicenza,  e prendere così alle spalle le forze schierate ad est. A questo attacco fece fronte  l’armata italiana del generale Guglielmo Pecori-Giraldi con 160 battaglioni e circa 700 bocche da fuoco.

Così la Strafexpedition (in italiano “spedizione punitiva”) iniziò il mattino del 15 maggio 1916 su un fronte di circa 40 km che andava dalla Val Lagarina alla Valsugana. I combattimenti si concentrarono sugli altipiani di Tonezza e Asiago, dove le truppe italiane furono costrette a indietreggiare nonostante la forte  resistenza opposta soprattutto nei settori del Coni Zugna, Passo Buole, Pasubio, Cengio, Cimone. A fine maggio gli attaccanti conquistarono Arsiero e poi  Asiago: l`invasione, verso Schio e Bassano, sembrava ormai inevitabile. Ma il rapido concentramento di rinforzi fatti affluire da altri fronti e per quello che ci interessa più da vicino dalla zona di Doberdò fu fatta arrivare in fretta e furia anche la Brigata Sassari che si era segnalata allo stato Maggiore per i grandi risultati ottenuti a Bosco Cappuccio, Trincea delle Frasche e dei Razzi , che in parte andarono a costituire la nuova 5ª armata schierata in pianura, permise al comando  italiano di arginare l’attacco austriaco sull`estremo limite degli altipiani. Il Generale Conrad però non insistette con l`azione in Valdastico, e non porta l`affondo verso Schio e Thiene, ma soprattutto non mette in atto l`azione avvolgente verso il Brenta, a Bassano; azione che avrebbe tagliato le nostre linee di difesa e aperto le porte della pianura veneta.  Ai primi di giugno l`inizio di un nuovo attacco russo in Galizia costrinse Conrad a trasferire parte delle truppe schierate nel Trentino e l`offensiva ebbe fine.

La Strafexpedition, o battaglia degli altipiani, tra morti, feriti, prigionieri e dispersi, arrecò pesanti perdite per entrambi gli eserciti: l`Austria-Ungheria perse circa 83.000 uomini, l`Italia circa 147.000. Da un punto di vista meramente strategico fu però sancita la sconfitta di Conrad, che da allora vide diminuire il suo prestigio e questo fu in seguito di grande aiuto per le sorti della guerra quando nel 1918 la grande offensiva austriaca fu divisa nel comando e nelle strategie fra Conrad e Boroevic. Nel giugno del 1917 gli italiani passarono al contrattacco e a fine luglio fu riconquistata circa la metà del terreno perduto.

Invece sul fronte dell`Isonzo, gli italiani sferrarono a metà marzo, dall`11 al 19, la loro quinta offensiva attaccando le forti linee avversarie dal monte Sabotino al mare, ma i risultati furono insignificanti.

Cadorna si concentra nell’ennesima battaglia sull’Isonzo

Terminata la battaglia degli altipiani e alleggerito il  “fronte giulio”  per il trasferimento, come abbiamo riportato, di truppe in Galizia, Cadorna poté organizzare con maggior cura un nuovo attacco con obiettivo Gorizia. Importante nodo stradale e ferroviario, questa città era difesa da alture fortificate che ne rendevano difficile la conquista. Utilizzando la rete delle ferrovie e perfezionando la logistica, ingenti forze furono concentrate a est in modo da avere una netta superiorità in uomini e artiglierie e la 3ª armata i primi di agosto diede inizio alla sesta battaglia dell`Isonzo. Il giorno 6 fu conquistato il Sabotino e il 7 fu ripreso il San Michele. Questa posizione era stata occupata il 29 giugno dagli austriaci che avevano fatto per la prima volta uso di gas asfissianti sul fronte italiano.

Dopo la resa delle posizioni del Podgora  l`8 agosto, reparti italiani della 12ª divisione attraversarono il fiume ed entrarono a Gorizia, in tal modo venne fatto un passo importante verso Trieste. Altre tre offensive furono sferrate a est e a sud di Gorizia, sul Carso, a metà settembre poi a metà ottobre e ancora tra la fine di questo e i primi di novembre, senza però importanti conquiste territoriali. La tattica degli assalti frontali contro postazioni difensive ben organizzate continuava a generare pesanti perdite in una interminabile guerra di logoramento. Sul fronte settentrionale, nel periodo estivo gli alpini attaccarono sulle Alpi di Fassa, conquistando alcune posizioni. Anche il settore del Pasubio fu nuovamente teatro di aspri combattimenti in settembre e ottobre.

Gli incontri interalleati, di Chantilly nel dicembre 1916, e di Roma nel gennaio 1917, consentirono al comando supremo italiano di utilizzare le pause invernali per riorganizzare le truppe e migliorare l`addestramento e la logistica. In maggio Cadorna ordinò l’ennesima offensiva nel settore dell`Isonzo, la decima dall`inizio del conflitto. Al termine delle operazioni, il 6 giugno, furono conquistate le posizioni dei monti Kuk e Vodice a nord di Gorizia.   Ma l`orrendo macello era ormai sotto gli occhi di tutti e non se non vedeva la fine: niente poteva giustificare tante stragi e sofferenze. Il Papa Benedetto XV proseguiva con gli  appelli per la pace, domandando la fine della guerra, definita una vergogna per l`umanità. La popolazione europea era ormai allo stremo per la fame e le sofferenze, inoltre aveva visto le migliaia di combattenti  tornati a casa orrendamente mutilati. Nei campi mancavano i contadini e nelle fabbriche gli operai, le donne con i vecchi e i bambini dovevano occuparsi di mandare avanti tutte le attività. Non c`era una famiglia che non piangesse un morto dovuto alla guerra, mentre nelle case mancavano quasi del tutto lo zucchero, il burro, la carne, il pane, la pasta, la verdura e tutto era razionato. Al malcontento delle famiglie, si univa altresì il morale bassissimo dei soldati che si laceravano nell`attesa degli assalti, sempre sanguinosi, di cui non si capiva lo scopo visto e considerato che non ottenevano alcun risultato. Numerosi furono gli episodi di diserzione, di automutilazione e di ammutinamento, molti giovani richiamati si rendevano colpevoli di renitenza alla leva. Numerosi furono i processi e le fucilazioni di militari.

La Battaglia dell’Ortigara

In giugno si svolsero aspri combattimenti sull`altopiano di Asiago per la conquista del monte Ortigara , che fu conquistato e poi perduto: dal 10 giungo del 1917 e nei quindici giorni che seguirono le perdite italiane arrivarono a 24.000 uomini di cui 13.000 solo alpini. In agosto, l`undicesima offensiva sull`Isonzo portò alla conquista dell`altopiano della Bainsizza. Anche qui vediamo la partecipazione della Brigata Sassari che era stata spostata dall’Altipiano di Asiago e l’otto di agosto comandata in prima linea proprio per la necessità di conquistare le posizioni austriache su questo, ulteriore, altipiano.

La Russia si ritira

Nel periodo primavera-estate, a fronte di un piccolo miglioramento delle posizioni, le perdite globali dell`esercito italiano risultarono superiori al 300.000 uomini, ma anche le forze austro-ungariche erano state provate a tal punto che il comando tedesco decise l’intervento diretto sul fronte italiano in appoggio all`alleato, giudicato ormai vicino al collasso. Ciò fu consentito dal fatto che in Russia, nella primavera del 1917 scoppiarono diverse rivolte che costrinsero lo Zar Nicola II all`abdicazione. L`esercito stanco e sfiduciato si sfaldava, i soldati a milioni tornavano a casa. Il partito bolscevico di Lenin prendeva il potere e Lenin firmava l`armistizio, dicembre 1917, e poi il trattato di Brest-Litovsk per pace con la Germania nel marzo del 1918. La Russia usciva così dal conflitto perdendo Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia.

L’America in guerra

Il ritiro della Russia sembrava dovesse dare un duro colpo alle speranze di vittoria del fronte anglo-francese-italiano. La Germania e l’Austria poterono concentrare sul fronte francese e italiano le truppe rese libere dal disimpegno della Russia, ma a questo punto avviene l`ingresso decisivo nel conflitto degli Stati Uniti d`America. Gli Americani erano rimasti colpiti dagli affondamenti operate dai tedeschi delle navi civili e in particolare da quello del transatlantico Lusitania dove avevano trovato la morte 124 cittadini americani. Nel mese di aprile del 1917 il governo USA dichiarò guerra alla Germania: questo comportò l`arrivo in Europa non solo di truppe fresche, ma anche di viveri, materiali, prestiti.

Caporetto

Con lo spostamento di ingenti forze tedesche dal fronte russo gli Imperi Centrali misero in campo 15 divisioni riunite nella 14ª armata al comando del generale tedesco von Below. Cadorna e il suo stato maggiore non riuscirono o, meglio, non vollero prendere in considerazione una importante serie di indizi e informazioni che facevano pensare all`approssimarsi di una grossa offensiva e quando nel mattino del 24 ottobre 1917 l`avversario attaccò nel settore dell`alto Isonzo, tra Plezzo e Tolmino, la sorpresa fu totale. Grazie anche all`uso dei gas e a nuove tattiche di infiltrazione con reparti d`assalto molto ben addestrati, le linee  italiane furono aggirate, le retrovie sconvolte, le linee di comunicazione telefoniche interrotte, impedendo così anche  il fuoco d`appoggio delle artiglierie.

 L’aspetto fondamentale di quanto accadde a Caporetto è da ricondurre ad una nuova ed estemporanea strategia di penetrazione delle linee nemiche. Gli austriaci ritennero possibile e anche pratico non impegnare il nemico contrapponendosi, in maniera classica, alle linee difensive di questo. Ma ritennero che si potesse agire in velocità scendendo nelle valli e aggirare per quanto possibile le posizioni italiane, che si aspettavano invece proprio la classica contrapposizione di artiglierie e assalti.

Proprio la novità e l’impreparazione dei comandi generali italiani nei confronti di una strategia del genere e l’impossibilità di ridistribuire l’impegno difensivo in risposta alla manovra austriaca, determinò il crollo del fronte italiano, soprattutto di quello tenuto dalla 2ª armata di Luigi Capello: le carenze nell`azione di comando e il cedimento del morale dei soldati, che si videro privi di comando, determinarono lo sfaldamento del fronte. Centinaia di migliaia di uomini, e di civili terrorizzati, iniziarono a ripiegare in disordine verso ovest, prima sul Tagliamento, poi sul Piave, dove nel frattempo era stata allestita una linea provvisoria di difesa.

Il 9 novembre gli ultimi reparti di retroguardia passarono sulla riva destra del fiume e i ponti vennero fatti saltare. L’ultimo ponte che consentì invece il passaggio del Piave alla retroguardia italiana fu quella della Priula e gli ultimi uomini furono proprio quelli della Brigata Sassari con il VII Battaglione del Capitano Musinu, come meglio descritto in seguito. Nello stesso giorno Cadorna, ritenuto il maggiore responsabile della disfatta, fu sostituito da Armando Diaz nella carica di capo di stato maggiore dell`esercito. Paolo Boselli fu sostituito da Vittorio Emanuele Orlando nella guida del governo. La rotta di Caporetto provocò nelle file italiane 10.000 morti, 30.000 feriti e, cosa ancor più tragica, 265.000 prigionieri, la perdita di circa 5.000 pezzi d`artiglieria, 300.000 fucili, 3.000 mitragliatrici oltre ad enormi quantitativi di materiali abbandonati o distrutti. Da aggiungere i gravi problemi provocati dalle decine di migliaia di sbandati affluiti nelle retrovie.

La reazione del paese di fronte al disastro, il più grave della storia militare italiana, e al rischio di un`invasione di tutta la pianura padana da est e da nord, fu immediata e grazie anche all’appoggio degli alleati, che iniziarono a far affluire truppe a partire dal 30 ottobre, il nuovo comando supremo riprese il controllo della situazione.

L`avversario era ora schierato con il gruppo d`armate di Conrad a nord (10ª e 11ª armata), la 14ª di von Below e il gruppo d`armate di Boroevic (1ª e 2ª) ad est. A partire dal 10 novembre gli austro-tedeschi ripresero gli attacchi sull`altopiano di Asiago, due giorni dopo sul Piave e poi sul Grappa, ma le truppe italiane riuscirono a mantenere le posizioni.

Nei primi mesi del 1918 il nuovo capo del governo Vittorio Emanuele Orlando e il nuovo capo di stato maggiore Armando Diaz proseguirono nel miglioramento della produzione bellica e nella riorganizzazione dell`esercito, realizzando una più stretta collaborazione con gli alleati dell`Intesa. Mentre sul piano strettamente militare azioni minori si tennero in primavera nel settore Tonale-Adamello, sul basso Piave  e sull`altopiano di Asiago, dove la Brigata Sassari, ancora lei, ottenne la prima vittoria italiana delle truppe italiane dopo Caporetto, vincendo la battaglia dei  tre monti e conquistando  Col del Rosso, Col d’Echele e Monte Valbella.

La battaglia del Solstizio: verso Vittorio Veneto.

Per quanto riguarda gli austriaci, sia l`imperatore, sia il suo capo di stato maggiore von Arz erano ormai arrivati al convincimento del progressivo deterioramento delle condizioni del loro esercito, ma gli alleati tedeschi ritenevano di dover mantenere l`iniziativa sul fronte occidentale per prolungare le vicende belliche e studiare meglio le loro strategie, avevano bisogno di offensive d`appoggio a questa idea del “temporeggiare”. Fu quindi deciso di effettuare un’azione generale contro l`Italia attaccando contemporaneamente in due punti, ovvero dal saliente del Trentino e dal Piave e questo proprio perché i maggiori strateghi del comando austriaco avevano una visione opposta sui piani di attacco e ognuno voleva primeggiare e dimostrare la propria “leadership”, così a nord schierarono le armate del Tirolo, comandate da Conrad von Hotzendorf, con la 10ª e 6ª armata,  invece ad est le armate del Piave, guidate da Boroevic, con la 6ª e 5ª armata. In totale, comprese le riserve, 60 divisioni con 7.500 pezzi d`artiglieria. Tali forze erano fronteggiate, da ovest verso est, dalla 7ª e 1ª armata dallo Stelvio all`Astico, 6ª e 4ª sugli altipiani, 8ª e 3ª da Pederobbe al mare. In totale 59 divisioni, comprese 3 inglesi, due francesi e una cecoslovacca ancora in addestramento.

 Il 15 giugno gli austriaci iniziarono l`offensiva su tutto il fronte. Nel settore di Asiago e sul Grappa furono contenuti, ma sul Piave sfondarono le linee italiane in vari punti. Durissimi combattimenti si svolsero a Casa Serena e Nervesa sul Montello, settore di grande importanza perché punto di raccordo tra le truppe di montagna e quelle della pianura. Altre posizioni furono create alla Grave di Papadopoli, a San Donà e a Ponte di Piave. Ma qui la tenace resistenza delle truppe italiane, fra cui si misero in luce gli speciali reparti d`assalto degli Arditi, e le difficoltà di far affluire i rifornimenti oltre il fiume, misero in gravi difficoltà gli austriaci che, contrattaccati a partire dal 19 giugno, dopo quattro giorni furono costretti a ritirarsi.

Da un punto di vista esclusivamente militare però le cose per Austria e Germania non andavano male: le truppe austriache erano avanzate fino al Piave, la Russia si era ritirata con gravi perdite territoriali, il fronte occidentale era fermo. Ma era dal punto di vista delle risorse che Austria e Germania non ce la facevano più: le campagne erano state abbandonate, le materie prime venivano a mancare, così il razionamento alimentare aveva colpito anche le truppe: senza viveri e rifornimenti per gli Austriaci e i Tedeschi le sorti della guerra erano  segnate.

In luglio le posizioni italiane furono ulteriormente migliorate. Nel complesso, la battaglia del Solstizio, o del Piave, costò agli austriaci 150.000 uomini a fronte di 80.000 per gli italiani, facendo svanire definitivamente per le armate della duplice monarchia ogni possibilità di vittoria. Il 24 ottobre, un anno dopo Caporetto, iniziò l`offensiva finale italiana. Gli attacchi furono concentrati sul Montello e sul Grappa, per dividere le forze austriache del Trentino da quelle del Piave. In questo settore l`avversario fu costretto a ritirarsi verso Vittorio Veneto a partire dal 29. A nord Rovereto fu raggiunta il 2 novembre e Trento il giorno dopo, così come Trieste ad est. L`armistizio tra Italia e Austria-Ungheria venne firmato il 3 novembre a Villa Giusti. L`11 Novembre la Germania chiese la pace, l`imperatore tedesco e quello austriaco furono costretti ad abdicare.


è un'idea di Roberto Pilia
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